di Manuel Barbera (b.manuel@inrete.it).
Per comprendere cosa davvero sia una lingua scritta dobbiamo
rifarci alla tipologia
generale dei linguaggi che avevamo abbozzato nel capitolo quinto. La lingua scritta,
in effetti, è un caso speciale del tipo che avevamo chiamato
metalinguaggio funzionale semplificato
(cfr. la caratterizzazione che ne avevamo data nel § 1.5.1): il linguaggio naturale,
perlomeno dell' Homo sapiens, infatti usa un canale sonoro, orale-acustico
(per brevità lo chiameremo "LO"); la forma scritta di una lingua naturale, orale,
come l'italiano, ad es., ne è propriamente la ricodifica, articolazione per articolazione,
in un canale diverso (e la chiameremo "LS"). Ricordate, infatti, la nozione di
codice
di Cherry in teoria dell'informazione? La codifica deve essere «elemento per elemento
e reversibile». Nel passaggio dall'orale allo scritto il codice della lingua naturale viene
trasformato in un nuovo codice (ricodifica) in osservanza del principio di Cherry:
uno scritto, infatti, può essere riconvertito in orale e viceversa, dato che la ricodifica
avviene elemento per elemento (così in un sistema di scrittura fonografico, come ad es.
- e tra poco vedremo meglio cosa ciò significa - l'italiano, ad un fonema corrisponde
idealmente un grafema, ecc.) e che la corrispondenza tra i due sistemi è univoca.
Naturalmente per i linguaggi, ad es., logici quanto sopra deve essere sempre completamente vero; data la natura dei linguaggi naturali, invece, la completa univocità di corrispondenza tra ogni elemento della LO ed il corrispondente della LS è solamente teorica per varie ragioni: (1) la LS, già per definizione, è un metalinguaggio semplificato, in quanto le lingue naturali, per garantirsi il passaggio dell'informazione anche in condizioni di non ottimalità del canale, codificano anche molte ridondanze, che non necessariamente sono ancora funzionali nello scritto; (2) anche la lingua scritta, pur "artificiale" e "secondaria" nella sua istituzione, tende, soprattutto in società molto alfabetizzate, a svilupparsi e comportarsi come una lingua naturale, acquisendo una propria relativa indipendenza rispetto alla LO di partenza, fino a funzionare quasi come lingua autonoma, con "regole" (grammatica), convenzioni ("generi") e funzioni (testualità) proprie. Tant'è che, ad esempio, già a livello di grammatica, per il francese André Martinet (di cui abbiamo ripetutamente parlato) nella sua Grammaire fonctionelle du français, Paris, Crédif - Didier, 1979, descriveva autonomamente in sezioni distinte la grammatica della LO e quella della LS; per rendersi conto del fatto che la diversità tra LO ed LS in francese sia a livello di grammatica, e richieda trattazioni grammaticali distinte, basti pensare al fatto che, ad es., il verbo nella LO non distingue alcuna persona al singolare, ma almeno due nella LS: si ha cioè LO 1,2,3 /šãt/ vs. LS 1,3 chante e 2 chantes.
Che comunque il principio della decodificabilità, pur con alcune
limitazioni, non venga meno, è ben dimostrato a posteriori dalla possibilità di
decifrazione (decodifica) di lingue dimenticate del passato, di cui ci siano pervenute
solo testimonianze scritte. Gli esempi sono molteplici, e spesso famosi, dalla decifrazione
della scrittura geroglifica dell'egiziano antico da parte del geniale Jean-François
Champollion (1790-1832: la sensazionale riuscita fu comunicata al pubblico il 27 settembre 1822 nella famosa Lettre
à M. Dacier), a quella della scrittura cuineiforme, avvenuta per tappe più complesse
sempre nell'Ottocento, a molte altre. Le operazioni di partenza di ogni buona decifrazione
sono sostanzialmente le stesse con cui si affronta una crittografia qualsiasi (anche
le "parole crociate crittografate" della Settimana enigmistica!), per cui è
essenziale avere a disposizione (1) quantità sufficienti di
testo ("misteri" dell'antichità come il celebre "disco di Festo" sono destinati
certamente a restare tali non fosse che per la scarsità del testo), e poi qualche
"aiuto" esterno per attribuire (2) un primo contenuto
(significato LS>LO) e (3) una prima veste fonica (significante
fonemico LO) alle espressioni (significante grafemico LS: pure stringhe di caratteri
non interpretate) crittograficamente ricostituite, ricostruendole in parole con
significato + significante grafemico definito.
Una decifrazione esemplare, per meglio comprendere il procedimento, è stata, ad
esempio, quella dell'ugaritico, una lingua parlata sulla costa siriana settentrionale
nei secoli XV-XIV a.C. e scritta con un alfabeto cuneiforme. È stato essenziale
(1) il ritrovamento di numerose asce di bronzo con brevi
iscrizioni, e l'intuizione (2) che le iscrizioni
probabilmente contenessero il nome del possessore e la parola 'ascia' medesima: difatti
una serie di 4 caratteri ricorre costantemente in tutte, e sarà la parola per "ascia".
Il passo successivo fu la supposizione (3) che si trattasse,
data l'area e la storia, di una lingua semitica: si provò pertanto
ad interpolare ai 4 grafemi della parola 'ascia' i corrispondenti valori della stessa parola
in una lingua semitica nota, nel caso specifico l'ebraico /grzn/ che difatti ha
solo quattro grafemi, procedendo poi come in ogni crittografia a sostituire
sistematicamente i valori ottenuti, indovinare nuove parole, ricontrollarle sul semitico,
scoprendo che l'ipotesi semitica continua a tenere, risostituire, e così via fino a
decifrazione completa. Certo, la condizione ideale, si sarà intuito, è quella di avere a
disposizione dei testi bilingui o plurilingui (come fu per per il geroglifico e per
il cuneiforme), meglio se con almeno una lingua già nota. Ma anche in condizioni
meno ottimali, l'esercizio, se sostenuti dal rigore ed aiutati da un pizzico di
fortuna, può ugualmente riuscire proprio grazie al carattere di codice della scrittura.
Molto altro vi sarebbe da dire sulle decifrazioni, ma dovremmo essere almeno
riusciti a comprendere l'importanza che riveste, dato che spesso è la nostra unica
chiave d'accesso ad informazioni (non solo linguistiche!) sul passato che ci sarebbero
altrimenti precluse; un buon testo, vecchio ma scientificamente irreprensibile e di facile
ed appassionante lettura, che vi posso segnalare è Johannes Friedrich, La decifrazione
delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1973 (traduzione italiana di
Entzifferung verschollener Schriften und Sprachen, Berlin, Springer Verlag, 1966).
Chiarita la natura di codice delle scritture, dovremmo poter
tracciare una mappa dei tipi possibili di codifica usati nel linguaggio scritto.
Nella classificazione proposta da Geoffrey Sampson (studioso che abbiamo già avuto
occasione di menzionare), che qui riproponiamo nella tavola seguente, l'elemento
discriminante è COSA viene ricodificato dalla LO alla LS (stante che la ricodifica
è sempre, per definizione, semplificata e quindi parziale).
[tav. 1]
Classificazione dei principali tipi di sistemi di scrittura.
Tratto da Geoffrey Sampson, Writing Systems, Stanford (California), Stanford
University Press, 1998 [1985], p. 32.
In questa tipologia la prima distinzione è quella tra scritture "linguistiche", ossia codici glottografici (quello che viene ricodificato è effettivamente una lingua naturale) e scritture "non linguistiche" od imperfette, ossia codici semasiografici (rappresentano una serie di concetti, non di per sé riferibili ad una data struttura linguistica). Le scritture semasiografiche imperfette, non ci forniscono nessuna informazione linguistica, e propriamente non sono "decifrabili" (anche se possono ugualmente riuscire a veicolare informazioni): cfr. il capitolo successivo con l'esempio degli annali sioux.
Limitandoci, poi, alle sole scritture "linguistiche", la distinzione successiva è quella tra sistemi logografici vs. fonografici, a seconda che la ricodifica investa piuttosto l'espressione od il contenuto. Ossia, nei termini martinettiani della teoria della doppia articolazione del linguaggio, i sistemi fonografici rappresentano unità di seconda articolazione (significanti), i logografici, invece, unità di prima articolazione (significati). Come vedremo con l'esempio della scrittura cinese, che pure è il sistema logografico più efficente e "puro" usato nel mondo, bisognerebbe però piuttosto parlare di "prevalenza" della prima articolazione, perché in realtà sono ricodificate anche alcune, minori, caratteristiche di seconda articolazione.
Per i sistemi logografici perfetti, inoltre, si parla di scritture logografiche morfemiche, in quanto codificano non solo l'espressione del significato lessicale ma anche l'espressione di quello morfologico (relazionale), anche se nelle fasi iniziali della creazione di un sistema logografico la codifica è prevalentemente imperfetta e rappresenta le parole non articolate (scritture logografiche di parola. Questo si può vedere bene dall'es. (preparato da Sampson) presentato nella tavola seguente dove ad una frase della lingua inglese (scrittura fonografica) corrispondono due possibili traduzioni in un sistema inventato, prima logografico morfemico e poi logografico di parola.
[tav. 2ab]
Come una frase della lingua inglese potrebbe essere rappresentata in un sistema logografico
morfemico ed in uno non morfemico. L'esempio è adattato da Geoffrey Sampson, Writing Systems, Stanford (California), Stanford
University Press, 1998 [1985], p. 33-37.
Quanto ai sistemi fonografici (ossia quelli in cui le unità rappresentate dalla grafia sono di seconda articolazione), questi possono essere di vari tipi, a seconda delle distinzioni che rappresentano, ossia delle unità segmentali rappresentate dai grafemi.
Il sistema più analitico potrebbe essere quello di codificare le unità minime, cioè i tratti fonologici distintivi (si parla infatti di feature scripts). Che è quello che può avvenire in un metalinguaggio scientifico linguistico scritto come, cfr. l'esempio della tavola seguente, quello della fonologia binarista di Jakobson. Nelle scritture "naturali", però, sistemi "scientifici" di questo tipo non sono mai usati con l'unica, sbalorditiva, eccezione del "simil-sillabario" hankul koreano, che studieremo più approfonditamente tra poco.
[tav. 3]
La parola inglese "cat" nel metalinguaggio della fonologia binarista di Jakobson.
Tratto da Geoffrey Sampson, Writing Systems, Stanford (California), Stanford
University Press, 1998 [1985], p. 40.
L'estremità opposta è occupata dai sillabari, ossia dalle scritture sillabiche, che usano come unità grafematica la sillaba. Nei sistemi sillabici "puri" ogni grafema sillabico non è ulteriormente rianalizzabile, ossia non vi sono somiglianze sistematiche tra sillabe parzialmente simili (nel hankul koreano i singoli grafemi sono composti in unità sillabiche maggiori, ma restano completamente autonomi: per questo parlavo di "simil-sillabario"). Un buon esempio è quello della "lineare B" usata per scrivere il miceneo. Degno di nota è che molto spesso i sistemi di questo tipo sono evoluti per riduzione di originari sistemi logografici (è questa ad esempio l'origine del sillabario cuneiforme sumerico, poi accadico, e quindi esteso a molte altre lingue del Vicino Oriente Antico, come anche, pur molto diversamente, dei kana giapponesi).
Gli alfasillabari (detti anche "albugida" usando le prime 4 sillabe del sillabario etiopico) costituiscono un altro tipo di scrittura sillabica, meno "pura" in quanto le componenti della sillaba non sono arbitrarie: ogni sillaba è composta da grafi consonantici + grafi vocalici, ma in realtà le vocali non hanno lo stesso status delle consonanti, sono solo dei diacritici alle consonanti, e non sono neppure scritte nell'ordine "fonetico" in cui compaiono nella sillaba; le sillabe senza diacritico vocalico sono considerate come aventi "vocale inerente" (ossia una vocale, in genere /a/, il cui diacritico è zero). È questo il sistema della brahmi indiana, che tratteremo tra poco, dalla quale discendono la nagari usata per il sanscrito e la maggior parte delle scritture dell'India e del Sudest asiatico.
I consonantari od abjad (come sono detti dalle prime lettere dell'alfabeto arabo), sono un sistema quasi alfabetico in cui tuttavia sono rappresentate solo le consonanti. L' "invenzione" dell'alfabeto, attribuita ai semiti, in realtà è solo la creazione di un consonantario, appunto il consonantario protocanaanaico (che pure se si poteva intendere come una sorta di alfasillabario in cui la vocale inerente non era distinta, in origine era probabilmente una mera estrapolazione "consonantica" del segnario geroglifico egiziano), dal quale discendono tanto le scritture arabiche, ebraiche ed aramaiche moderne, quanto (probabilmente tutte o quasi) le scritture alfabetiche. Si noti, tra l'altro, che tra una scrittura arabica od ebraica moderna scritta con i diacritici delle vocali ed un sistema alfasillabico non c'è una reale differenza di principio.
L' alfabeto è invece una "invenzione" avvenuta più di una volta, sempre a partire dalla medesima partenza del consonantario semitico (cfr. § 1.6.8). In Occidente il merito va attribuito ai Greci, che usando alcune potenzialità del sistema semitico (i grafemi per suoni consonantici con colorazioni vocaliche vengono usati per le vocali che suggeriscono, così alep [?] e yod [j] vengono usati per /a/ ed /i/, ecc.) inventarono il sistema che alla base di tutte le scritture occidentali, tra le quali la "latinica" è ormai diffusa mondialmente.
Un'ultima osservazione. Abbiamo parlato di corrispondenze univoche tra unità della scrittura (grafemi, logogrammi) ed unità della lingua (fonemi e sillabemi, lessemi e morfemi). In realtà queste sono condizioni ideali, rispetto alle quali quasi tutte le scritture storiche presentano un numero più o meno elevato di eccezioni. Le "eccezioni", infatti, sono in funzione della storia stessa della lingua in questione: la scrittura, in effetti, cambia meno facilmente e rapidamente della lingua; per cui, ad esempio, una scrittura come quella francese, che rappresentava coerentemente la lingua francese medievale, oggi che il francese è molto cambiato ha con esso una corrispondenza molto più indiretta: cette fois 'questa volta' in antico francese valeva, regolarmente ['tsette 'fois] e non [set'fwa] come oggidì. A pagina 81 del manuale di Graffi-Scalise è riportata un'utile tavola delle "incoerenze" dell'italiano, ossia delle corrispondenze imperfette tra grafemi e fonemi; riuscireste a fare uno schema del genere per un'altra lingua che conoscete?
Nel paragrafo precedente abbiamo abbozzato il taglio, tipologico
secondo il modello di Sampson, appunto, che daremo alla presentazione del problema
scrittura in questo capitolo. Va però almeno accennato che esiste un altro modo, questa
volta storico, di affrontare il bandolo: come è nata e come si è sviluppata la scrittura?
Non potremo seguire nei dettagli questa interessante storia: ci dovremo contentare
di tematizzare la fase dell' "invenzione" della scrittura, tracciandone le principali
fila (sei, nella fattispecie), rinunciando poi a seguirne da vicino le seriori vicende
(su cui, eventualmente, si potrà trovare qualche accenno nei capitoli monografici-campione
seguenti).
[tav. 4ab]
Nella Tav. (a) sono rappresentate le 6 "invenzioni" primarie ed indipendenti della scrittura
(numeri arabi 1-6), la prima derivazione del consonantario semitico (lettera latina a),
e le sue principali derivazioni primarie (lettere greche alfa-gamma. Sono
anche rappresentate quattro delle più importanti "invenzioni" variamente seriori ma
sempre ispirate da scritture precedenti; il sillabario di Sequoya, il geroglifico anatolico,
la scrittura di 'Phags pa e l'hankul koreano.
Nella Tav. (b) sono rappresentati col consueto diagramma ad albero i rapporti di queste
sei tradizioni principali, fornendone le approssimative date di "nascita e morte" in secoli;
oltre alle ramificazioni primarie (lettere greche) del consonantario sono indicate
anche le principali secondarie (lettere cirilliche); le lineee in verde marcano
le varie continuazioni di queste tradizioni fino ai giorni nostri.
Come doppiamente evidenziato dalla tavola precedente sembra,
per quel che sappiamo, che la scrittura sia stata inventata indipendentemente almeno
sei volte: ben quattro nel nostro Vicino Oriente antico, e due nelle aree decentrate
della Cina e della Mesoamerica. Le cronologie sono assai variabili e vanno dalle
tradizioni più antiche, sumerica
(Uruk IV: 3.200) ed egiziana (protodinastico: 3.100) che risalgono al IV millennio,
alle più recenti, sinica
(Shang1: 1.200) ed olmeca (Medio Preclassico: 900) di fine II - inizio I millennio.
Che queste siano i primi capostipiti di sei filoni indipendenti è indubbio,
anche se il quadro potrebbe essere complicato, oltre che dalla identificazione /
scoperta di altre tradizioni (il miglior candidato, attualmente, potrebbe essere la
protoelamica, indecifrata
ma tipologicamente assai simile alla sumerica di Uruk IV), soprattutto dalla considerazione
delle cosiddette pre-scritture, ossia da quelle rudimentali testimonianze di
"circa-scritture" (semasiografiche?
o forse neppure ancora tali?) che sono a volte emerse dalla preistoria e che si sono,
molto volonterosamente ma spesso utopisticamente, tentativamente connesse a scritture
storiche. Così i segni tracciati su numerosi oggetti, variamente cultuali, della
cultura di Vincha (Serbia, SE di Belgrado), databili tra il
LIV ed il XLIV secolo a.C. (pieno V millennio, dunque), sono a volte stati avventurosamente
connessi al segnario minoico.
Così nei cosiddetti tokens (cioè piccoli
oggetti di argilla) risalenti nientemeno che al IX millennio e diffusi dalla Palestina
all'Iran si è voluto, ancora più arditamente, rintracciare i modelli da cui è
partita la scrittura cuneiforme. Analogamente gli archeologi cinesi vorrebbero,
speranzosamente, assocciare i segni tracciati su frammenti di vaso neolitici databili
a partire dal XLIX secolo a.C. con quella che sarà la scrittura degli
ossi oracolari.
Ma sono tutti wishful thinkings, temo.
È comunque notevole come tutte queste tradizioni, qual prima qual dopo,
si siano tutte interrotte, lasciando il passo alle varie incarnazioni del consonantario
semitico, che, nato da una costola del geroglifico egiziano, non solo gli è sopravvissuto,
ma ha generato (in misura variamente indiretta) praticamente tutte le tradizioni scrittorie
oggi diffuse nel mondo. Così nella Mesoamerica la tradizione olmeca,
dopo avere ispirato le scritture maya e zapoteche, è stata brutalmente stroncata dai
conquistadores. Nel mondo egeo la tradizione minoica,
dopo essersi espressa in un geroglifico e due scritture lineari, la A e la B, resiste
in Cipro fino in epoca classica, ma alla fine cede il passo al trionfante alfabeto
greco. In Mesopotamia la scrittura sumerica, presto atteggiatasi in cuneiforme,
resiste all'estinzione dei sumeri medesimi e viene fatta propria dalle nuove popolazioni
semitiche, diventando il supporto del prestigioso akkadico, l'inglese del Vicino
Oriente antico, e da quello promanandosi anche nell'Anatolia indoeuropea e nel Mitanni
non-indoeuropeo e non-semitico; alfine soppiantata nel centro dell'impero dall'aramaico
imperiale (una derivazione del consonantario semitico) resisterà ancora un poco
nell'Urartu (una tarda reincarnazione del Mitanni), per poi definitivamente scomparire.
La scrittura, poi, della valle dell'Indo, espressione della
civilizzazione di Harappa e Moenjodaro,
tutt'ora indecifrata ma certo grossomodo sillabica, scomparirà nel 1.800 a.C., probabilmente
a seguito dell'invasione degli indoeuropei indo-ari in India, portandosi il suo mistero nella tomba.
La tradizione egiziana, dopo una vita lunghissima (che attraversa
almeno le tre fasi dell'antico-, medio- e neo-egiziano) scompare in epoca cristiana,
lasciando la sua impronta nel copto (graficamente derivato dall'alfabeto greco, ma
linguisticamente dal neo-egiziano); non senza però avere generato il figlio ribelle,
vero asso pigliatutto, del consonantario semitico, che si
porrà, appunto, a sua volta come capostipite di praticamente tutte le scritture moderne.
Con un'unica, cospicua, eccezione: il sistema logografico del
cinese che ha ormai
trionfalmente varcato il XXI millenio. Accanto a questo sono da ricordare alcune
scritture che sono state inventate autonomamente per deliberata iniziativa di qualcuno
(di cui spesso conosciamo anche il nome), ma che non sono state create ex nihilo
(ammesso che qualcosa lo possa mai davvero essere), traendo piuttosto (in varia misura)
ispirazione da tradizioni preesistenti. La più antica di queste è il cosiddetto
geroglifico minoico, introdotto per notare il luvio (una lingua anatolica,
indoeuropea) ed usato tra il XIV ed il VII secolo a.C., ispirato pare
al segnario minoico rimodellato su quello cuneiforme. La più recente è il sillabario
di Sequoya, introdotto nel 1821 da un monolingue cherokee (irochese; recte:
George Guess Sequoyah, c. 1770 - 1843), per la propria lingua nativa e poi ripreso anche
per altre lingue del Nord America, specie athapaske ed eskimesi; qui le ispirazioni
sono varie, dalla latinica alla cirillica alla greca. In mezzo stanno due scritture
orientali. La scrittura di 'Phags pa è stata inventata
nel 1269 (questa almeno è la data tradizionalmente fornita dagli storici cinesi)
dal monaco tibetano 'Phags pa Blo gros rgyal mtshan (1235-1285) per ordine dell'imperatore
Yuán Qubilai Khan
per scrivere tutte le lingue dell'impero (cfr. W. South Coblin, A handbook of 'Phags-pa Chinese,
Honolulu, University of Hawai'i Press, 2007 "ABC Chinese dictionary series"); chiaramente in parte ispirata alla scrittura
dbu-can tibetana
per la forma dei caratteri ed a quella cinese per l'orientamento verticale, il suo
uso è limitato alla dinastia Yuán, mongola (di cui è in qualche modo il simbolo
dell'identità nazionale), e già con la Míng cessa. La quarta, infine,
l'hankul, è la geniale creazione del
re Seycong di Korea introdotta nel 1444, cui dedicheremo un intiero
paragrafo.
Da notare è anche che le due più antiche, relativamente finitime e pressoché coeve, tradizioni, la sumerica e l'egiziana hanno sì tratti in comune (si è spesso favoleggiato di influssi dell'una sull'altra) ma anche profonde divergenze. Entrambe sono di base logografiche ed alla componente logografica affiancano sempre più elementi fonetici; si differenziano però per la qualità della componente fonetica. Nella tradizione sumerico-akkadica (come poi anche in quella minoica ed in tante altre) la complementazione fonetica è di natura sillabica, mentre in quella egiziana è di natura consonantica: abbiamo cioè un sistema logo>sillabico opposto ad uno logo>consonantico. La derivazione del consonantario semitico dal sistema logoconsonantico egiziano è in questo naturalissima e consequenziale.
Un caso particolare di operazione di decodifica - ricodifica
scritta è quella che attuiamo quando trasferiamo un testo da una scrittura ad un'altra.
Se, infatti, già la scrittura in sé è un metalinguaggio, sfruttando la sua natura
di codice, possiamo compierne anche un'ulteriore elaborazione: si tratta di un'operazione
apparentemente complessa ma che facciamo molto spesso, ad esempio quando dobbiamo
riportare nomi e toponimi stranieri nella nostra lingua.
In realtà bisogna distinguere tra due operazioni diverse a seconda che l'oggetto
della decodifica e ricodifica nella LS2 (lingua scritta finale) sia l'espressione
della lingua scritta (LS1) o della della lingua orale (LO1) di partenza. Nel primo
si parla di traslitterazione, nel secondo caso di trascrizione.
Trascrizione e traslitterazione hanno importanti funzioni scientifiche anche al di
là delle numerose applicazioni pratiche nella vita linguistica quotidiana (si pensi ad es.
a quante varianti hanno di solito nei giornali i nomi di personaggi politici stranieri,
od a come tanti prestiti siano entrati in italiano veicolati dalla scrittura).
[tav. 5]
Il nome dell'ultimo presidente dell'URSS in originale cirillico, traslitterazione
scientifica, e trascrizioni nazionali (italiana, inglese, tedesca, francese) ed
internazionali (alfabeto fonetico internazionale). Si notino la quantità di varianti
e confusioni presenti già solo nella stampa italiana (dove alla fine ha di solito
prevalso la resa all'inglese). La trascrizione IPA è fonetica: la "a rovesciata"
trascrive la vocale centrale medio-bassa non arrotondata che in russo è l'allofono neutralizzato
in posizione pretonica dei fonemi /a/ ed /o/.
Per la traslitterazione, ad esempio, potete guardare i vari sistemi
per la resa in latinica del hankul koreano (cfr. i due paragrafi dedicati al koreano,
a proposito della scrittura
e della lingua),
e per l'uso contrastivo di trascrizione e traslitterazione alla analisi della
iscrizione micenea che
troverete poco più avanti.
Un sistema fondamentale di trascrizione è l' "International Phonetic Alphabet" usato
per poter rendere i suoni di qualsiasi lingua con un unico consensuale sistema di
riferimento, indispensabile per ogni livello di studio delle lingue. Non riproduco
le tavole dei grafi del sistema perché si trovano già nel manuale di Graffi-Scalise
a p. 75. Aggiungo solo che c'è un recente manuale ufficiale cui eventualmente riferirsi:
Handbook of the International Phonetic Association. A guide to the Use of the
International Phonetic Alphabet, Cambridge - New York - Port Melbourne - Madrid -
Cape Town, Cambridge University Press, 1999 (con files audio
di quasi una trentina di lingue liberamente scaricabili online).
Una sorta di metaesempio è anche il fatto, che qui avverto una volta per tutte, che in queste pagine web ho traslitterato con caratteri convenzionali molti caratteri non-ASCI delle trascrizioni e traslitterazioni delle lingue citate, per evitare di usare UNICODE che potrebbe non essere ancora supportato da PC vecchi. Le lettera con la pipa (hachek ceka) sono state rese con C^, quelle con il punto sottoscritto (retroflessione in indologia) con C, , le lunghe segnate con il macron con il circonflesso Â, il primo e terzo tono del cinese mandarino con i numerini 1 e 3 tradizionali in Wade-Giles, la occlusiva glottale con l'apostrofo ' (quando già così nella fonte) o con ?.
I sistemi semasiografici sono una specie di "scrittura non scrittura":
infatti non sono propriamente un metalinguaggio funzionale semplificato di una lingua
naturale, ma un sistema di segnali autonomo, cui può essere agganciata la funzione mnemonica
di narrazioni più linguistiche. In alcuni casi possono eventualmente evolvere in una scrittura
logografica (cfr. ad esempio il dongba,
la quasi-scrittura dei naxi illustrata al § 2.5.6. che si trova appunto in quella fase intermedia)
ma fino a quel momento non esiste nessuna relazione di
cosidica tra lo scritto semasiografico e la lingua di chi lo ha vergato.
Gli esempi sono molteplici, dai trattati ed annali scritti su pelli di bisonte degli Sioux
dell'America del Nord (cfr. tavola), ai quipu degli Incas del Sud America, alle
tavolette rongo rongo dell'isola di Pasqua nel Pacifico (sempreché non si tratti
già di una scrittura logografica di parola, o transizionale tra i due tipi).
[tav. 6]
Gli annali ("Winter Count") degli Sioux Yanktonai di Lone Dog per gli anni 1800-1871. Copia
tratta intorno al 1871 dal tenente H. T. Reed a Fort Sully e Fort Rice di una pelle di bufalo
oggi scomparsa. Riprodotto da Allan R. Taylor, Nonspeech Communication System, in
Handbook of North American Indians, vol. 17 Languages, ed. by Yves Goddart,
Washington, Smithsonian Institute, 1996, pp. 275-289.
Come si "legge" l'annale? Le figure che rappresentano gli anni si snodano lungo una spirale in senso antiorario che parte
dal centro. La prima figura, ad es., costituita da 30 linee parallele su tre colonne
con le linee esterne congiunte, rappresenta 30 Yanktonai che furono uccisi nel 1800-1
dai Crow; la figura successiva, con testa e corpo puntinati, rappresenta l'epidemia
di vaiolo del 1801-2; la figura dopo è un ferro di cavallo, che rappresenta l'anno 1802-3,
quando gli Yanktonai rubarono ai bianchi dei cavalli con gli zoccoli ferrati, che prima
non conoscevano; la penultima figura, un cerchio e delle stelle entrambi neri, rappresenta
l'eclissi totale di sole del 1869; l'ultima figura, infine, raffigura un attacco ai Crow da
parte degli Sioux Teton nel 1870-1.
A parte alcuni discussi ritrovamenti neolitici (V millennio marchi di prorietà, III pittogrammi),
gli inizi della scrittura in Cina risalgono all’epoca Shang: «the first appearance
- per usare le parole di Boltz 1996a [William G. Boltz, The Origin and Early Developement
of the Chinese Writing System, New Haven (Connecticut), AmericanOriental Society, 1994], 191 -
of what we recognize unequivocally to be Chinese writing comes in the form of inscribed ox scapulas
and turtle plastrons from sites near modern Ànyáng on the Northern border of Hénán
province. These inscribed objects, which date from about 1200 B.C.E to the end of the Shang [Shang]
state 150 years later, are records of royal divinations performed at the Shang court and are
therefore often referred to as "oracle bones inscriptions"», ossia jia3gu3wén.
La scrittura cinese appare già formata nelle sue linee costitutive fondamentali
nella scrittura degli ossi oracolari, e «the Chinese characters in use today
- Boltz, op. cit., 191 - are the direct descendants of the Chinese scripts of
the Shang period. In outwards appearance, to be sure, modern characters differ substantially
from those of the Shang inscriptions, so that the latter are not readable by someone who
knows only the modern forms; nevertheless, the basic structural principles that underlie
the Shang writing system are fundamentally the same as for later stages of the Chinese script,
including the modern script».
Ho usato, come termini di riferimento, i tradizionali estremi dinastici della storia cinese. Visto che i non sinologi non saranno familiari con questa cronologia, ne riporto uno schema sommario:
[tav. 7]
Specchietto della cronologia cinese, tradizionalmente periodizzata usando i nomi delle
principali dinastie. Non ho tenuto conto delle sovrapposizioni di più dinastie contemporanee
(ma una tavola più dettagliata la vedremo in seguito), né delle minori incertezze
cronologiche; accanto alla trascrizione standard in pinyin tra quadre ho dato la
trascrizione nel "vecchio" sistema Wade-Giles, ancora molto usato in lavori storici.
È disponibile anche una versione grande della tavola.
Naturalmente, si tratta all’inizio prevalentemente di pittogrammi piuttosto espliciti: la scripta arcaica, e le tipizzazioni grafiche in cui si espresse prima di assumere la forma classica, subirono una progressiva semplificazione \ astrazione analoga, mutatis mutandis, a quella avvenuta in Mesopotamia tra i logogrammi sumerici di Uruk IV e quelli cuneiformi babilonesi maturi.
[tav. 8]
Allografi del logogramma per 'cane' (radicale tradizionale 94, oggi qua3n)
nella scrittura di epoca Shang. Adattato da Jerry Norman, Chinese, Cambridge -
New York - New Rochelle - Melbourne - Sidney, Cambridge University Press, 1988, p. 59.
University Press, 1998 [1985], p. 40. Una buona introduzione alla scrittura cinese arcaica è
William G. Boltz, The Origin and Early Development of the Chinese Writing System,
New Haven, American Oriental Society, 1994 "American Oriental Series" 78; in cinese
è utile Míng Ga1o, Gu3 wén zì lèi bia1n ['Tavole dei caratteri antichi'], Be3iji1ng,
Zho1ng huá, 1980
Questi vengono poi solo parzialmente stilizzati nella scrittura di età Zhou occidentale e Chunqiu, detta jin1wén "dei bronzi" (dato che è consegnata soprattutto a grandi vasi votivi di bronzo); non si tratta, inoltre, ancora di scritture canonizzate e vi sono molte variazioni nella forma dei caratteri. Una prima codifica viene tentata nelle scritture cosiddette zhuànshu1 "dei sigilli". Con l'espressione dàzhuàn "grande sigillo" si indicano le scritture che in varie forme locali vennero adottate dai diversi regni degli Zhou orientali. La vera canonizzazione e riunificazione grafica avvenne però, accanto all’unificazione politica, nell’età Qín con l’introduzione del xia3ozhuàn "piccolo sigillo" da parte del 1° imperatore della dinastia Qín, Shi Huangdi, nel 208 a.C. Accanto al piccolo sigillo, scrittura "ufficiale" della dinastia, si sviluppa, nell’ambiente dei funzionari e dei cancellieri di corte, anche una stilizzazione più corrente, la lìshu1 'scrittura dei dotti \ degli scribi', che in seguito alla diffusione della carta ed al perfezionamento del pennello in epoca Hàn occidentale, si standardizzò verso la fine degli Hàn orientali in quella ka3ishu1 "scrittura regolare" che, con varie vicende, è praticamente la stessa dell’odierna. Un'idea della variazione può essere resa dalla tavola seguente, che riproduce con lievi modifiche una pagina di un noto dizionario paleografico di caratteri:
[tav. 9]
Pagina da un dizionario paleografico di caratteri che contiene la fine del radicale
tradizionale "sopra" (8 tóu) e l'inizio del radicale "uomo" (9 rén).
La prima fascia dà i caratteri in kaishu (ossia in grafia tradizionale non semplificata),
la seconda il piccolo sigillo, la terza le varianti degli ossi oracolari e la quarta
quelle del grande sigillo. Alla pagina ho aggiunto il riferimento al numero di carattere
del Mathews (R[obert] H[enry] Mathews, A Chinese - English Dictionary compiled for
the China Inland Mission. Revised English edition with revised English index,
Cambridge (Massachussets), Harvard University Press, 1947), quando il carattere era ancora
in uso nel cinese pre-standard moderno, e la forma pinyin moderna. Il primo da destra
(seguendo l'ordine di lettura) è la parola (oggi desueta) per 'luce, chiaro', quello
dopo è il nome di una provincia dell' A1nhui1, e gli ultimi due del radicale non sono
più in uso. Il primo del radicale successivo è il radicale stesso, 'uomo', mentre gli
ultimi tre sono il rén di 'benevolenza, virtù', il zè di 'obliquo' ed il
lé di 'rimanenza'.
Ma non sosteremo oltre su questi aspetti storico-paleografici, in quanto
qui ci interessa in realtà solo la strutturazione del sistema.
In primo luogo è da sfatare la tradizione ingenua che è riflessa nella etichetta di
"ideografico": i caratteri rappresentano parole di una lingua specifica (sistema "logografico") e non pensieri
(sistema "semasiografico"): per l'unità grafematica minima della scripta cinese (in cinese hànzì,
in giapponese kanji, in coreano hanja) è quindi meglio usare "logogramma" al posto
del colloquiale "ideogramma".
Vantaggio che deriva da struttura isolante del cinese: ogni morfema corrisponde ad una
sillaba, e ad ogni morfema sillabico può così corrispondere un unico segno grafico (grafema).
Il carattere logografico-morfemico può quindi manifestarsi in modo praticamente puro.
I caratteri, inoltre, sono in sé analizzabili, ed hanno spesso anche componenti fonetiche, cosa che
ci assicura del carattere logografico e non semasiografico della scrittura cinese.
La classificazione tradizionale dei caratteri risale a Xu3 Shen4, nello
Shuo1 wen2 jie3 zi4, il primo "dizionario" di caratteri compilato nell’epoca Hàn orientale
(c. 100 d.C.), che organizza c. 9.353 caratteri, nello stile del piccolo sigillo,
secondo un’analisi grafica tutt'ora valida e che sarà utile anche a noi per comprendere
il sistema grafematico cinese.
Al di là della bipartizione tra caratteri semplici (wén) e composti (zì) Xu distingueva
sei tipi di caratteri, i primi tre di natura puramente iconica e gli ultimi tre anche fonica:
zhi3shì | logogrammi semplici (allusione simbolica) |
xiàngxíng | pittogrammi (illustrazione figurativa) |
huìyì | logogrammi complessi (aggregazione logica) |
jia3jiè | prestiti fonetici |
zhua3nzhù | pseudosinonimi |
xíngshe1ng | composti fonetici |
[tav. 10]
La classificazione dei caratteri dello
Shuo1 wen2 jie3 zi4 di Xu3 Shen4 (epoca Hàn orientale, c. 100 d.C.).
La componente iconica può essere stata quella di partenza per la costruzione del sistema, ed è già in sé abbastanza articolata:
[tav. 11]
Gli hanzi iconici nella classificazione di Xu Shen: (1) logogrammi semplici, (2)
pittogrammi, (3) logogrammi complessi.
In realtà le categorie fondamentali sono però quelle fonetiche, che da sole prendono circa il 90% di tutti i 48.000 hanzi comparsi nel corso della storia della lingua cinese. Naturalmente, dire che quasi tutti i segni rappresentano anche una fonetica, non è sincronicamente sempre vero: oggi la composizione fonetica spesso non è più completamente trasparente, in quanto alcuni caratteri sono stati costruiti con la fonetica del cinese due-tremila anni fa, altri con quella di fasi più recenti. La scelta della tavola seguente, dove, per schematizzare, non riporto anche la scrittura del piccolo sigillo, è stata in un certo senso "tendenziosa":
[tav. 12]
Gli hanzi fonetici nella classificazione di Xu Shen: (1) prestiti fonetici, (2)
pseudosinonimi, (3) composti fonetici.
Una volta compresa la sua struttura, resta da rendere conto della sopravvivenza del sistema. Praticamente tutti i sistemi nati logografici che conosciamo sono poi tutti smottati in direzione fonografica, fino a diventare sostanzialmente dei sillabari (come è il caso del cuneiforme sumerico e poi accadico ecc., del geroglifico minoico > lineare A e B, probabilmente del sistema epi-olmeco > maya in Messico, e del sistema misto di kana-kanji del giapponese), o dei consonantari (come in egiziano antico) con frammisti logogrammi con funzione talvolta di logogrammi propri o, spesso, di determinativi: in realtà gli effettivi sistemi risultanti possono anche essere molto complessi e diversi tra loro, ma la tendenza sembra essere generale. Come mai, allora, l' "eccezione" del cinese? Le spiegazioni sono molteplici, e ne elenchiamo le principali.
In primo luogo, è una scrittura benissimo adattata alla struttura di morfema della lingua
cinese, per cui si ha sempre corrispondenza biunivoca tra logogramma e lessema minimo
/ morfema (l'unica eccezione è il morfema subsillabico -r, reso con il secondo carattere
rén di 'uomo', radicale 10 di Kang Xi = 21 CASS), mentre in quasi tutti gli
altri casi che abbiamo menzionato l'interfaccia lingua-scrittura non era così ottimale.
In secondo luogo, una scrittura di riferimento logografica, non direttamente dipendente
dalla seconda articolazione, è utile come strumento comune per popolazioni che parlano
lingue / dialetti molto diversi, come è il caso della Cina (per il problema cfr. nella
sezione dedicata alle lingue, quanto abbiamo detto per i dialetti cinesi).
In terzo luogo va notato come studi psicolinguistici abbiano assodato che, teoricamente, il
sistema logografico è meglio adatto ai nostri meccanismi psichici di memorizzazione
ed uso della memoria linguistica, come dimostrato da studi sulla dislessia, sulla
rappresentazione mentale della parola letta, e sulla apprendbilità della parola grafica,
in connessione anche col problema dell'alfabetizzazione (se ci pensate, ad esempio, (a)
anche le parole dell'inglese devono, in definitiva, essere imparate come dei logogrammi,
e (b) quando leggete nella vostra lingua alfabetica, poniamo l'italiano, non compitate
le lettere delle singole parole, ma le cogliete come un tutto unico, interpretato
olisticamente senza analizzarlo). Se i sistemi alfabetici hanno di solito avuto la meglio
sui logografici, ciò sembra dovuto al fatto che, contestualmente, di solito è successo
che prevalessero gli inconvenienti pratici ai vantaggi psicolinguistici, cosa che
nella particolare situazione cinese invece non è avvenuta.
In quarto luogo, a fare definitivamente pendere l'ago della bilancia sui vantaggi
del sistema logografico, è anche l'enorme grado di omofonia che il cinese ha sviluppato
dal cinese antico e medio a quello odierno: mediamente un sillabema cinese rappresenta
circa una dozzina di omografi. Altre lingue sarebbero semplicemente collassate,
diventando comunicativamente inefficienti, ed avrebbero probabilmente invertito
la tendenza molto prima di raggiungere questo grado di entropia. La scrittura
logografica (dove ad omofoni non corrispondono omografi ma anzi logogrammi ben
distinti) accoppiata all'elevato grado di alfabetizzazione ed alla alta resa
neurolinguistica della logografia, è in parte responsabile della funzionalità
del sistema anche in simili critiche condizioni.
[tav. 13]
Creazione di omofoni non omografi tra antico e moderno cinese. Le forme cinesi antiche
sono ancora date nel sistema tradizionale di Karlgren (cfr. quanto abbiamo detto
sulla ricostruzione del cinese antico
nel capitolo dedicato al cinese) ma traslitterate in IPA; il cinese moderno è dato
prima in IPA e poi in pinyin.
Tratto da Geoffrey Sampson, Writing Systems, Stanford (California), Stanford
University Press, 1998 [1985], p. 169.
La scrittura koreana di cui parleremo in questo paragrafo è stata introdotta
in epoca Cosen (per la periodizzazione del koreano
cfr. il paragrafo sulla lingua) dal re Seycong (1397 – 1450, r. 1418–1450), e segna
un momento fondamentale nella storia del koreano, in quanto prima (cfr. sempre il
paragrafo sulla storia
della lingua koreana) solo i logogrammi cinesi erano in uso. La creazione
del nuovo sistema fu completata nel 1444 dal re Seycong e da un bureau di studiosi da lui
coordinato, mentre la promulgazione ufficiale si trova in un libro pubblicato due
anni dopo, il Hwunmin ceng.um 'i suoni standard per l'istruzione al popolo'
(ne è disponibile una traduzione tedesca: Hun Min Jeong Eum. Die richtige Laute
zur Unterweisung des Volkes (1446), herausgegeben von H. Zachert, Wiesbaden,
Otto Harrassowitz, 1980). Il nome ufficiale della scrittura era hwunmin ceng.um,
il nome moderno, hankul 'grande scrittura' è stato introdotto solo nel XX
secolo. Questa scrittura, comunque, non si impose subito, in quanto la classe "colta"
continuò a preferire la cinese a quella che chiamava spregiativamente enmun
'scrittura vernacolare'. Ancora oggi, in effetti, è possibile (in Korea del Sud, mentre
nel Nord sono stati vietati) usare logogrammi cinesi mischiati ai normali caratteri
della hankul.
Il re Seycong (o Sejong, a senconda delle trascrizioni, cfr. infra) detto
dai posteri "il Grande" fu il quarto re della dinastia Cosen,
uno dei più importanti della storia coreana, ed un personaggio eccezionale a tutti gli effetti.
Buon militare (importanti furono soprattutto le sue azioni contro la pirateria giapponese al Sud e contro
i Manchu al Nord), è famoso soprattutto come grande statista ed erudito: al di là della
linguistica, sola di cui qui ci occuperemo, riformò la musica nazionale, riorganizzò cerimoniali e burocrazia
del regno, creò un osservatorio astronomico, riformò il calendario, progettò un orologio ad acqua,
costruì un pluviometro (ed usandolo come "misura" del rendimento agrario di una stagione,
ne prese i dati per controllare che le tasse agricole fossero volta per volta sostenibili
dai contadini), fondò un catasto, promosse la ricerca storica, studiò agronomia (scrisse un importante
manuale di tecniche agriculturali), medicina e farmacia,
introdusse migliorie nelle tecniche di stampa, promosse l'istruzione pubblica anche per il popolo,
migliorò il diritto, applicandolo in senso egualitario e garantista, occupandosi
anche di giustizia criminale (controllò, ad esempio, le condizioni di vita delle prigioni,
imponendo che fossero umane), ecc.
L'introduzione della hankul, di cui qui ci occuperemo, non è che la punta di diamante
di un programma politico e culturale inaudito in un'epoca ancora feudale: garantire
l'istruzione ed il benessere di tutto il popolo, al di là di ogni classe. Un
programma che, forse, o senza forse, suona rivoluzionario ancora oggi. In generale
sulla figura di Seycong e sul suo programma politico cfr. Chin W. Chin, The Legacy
of King Sejong the Great in "Studies in the Linguistic Science" XXX (2000)1 4-12; specificamente per il
suo programma di alfabetizzazione e l'introduzione della hankul, cfr. Young-Key
Kim-Renaud, Sejong's Theory of Literacy and Writing, in "Studies in the Linguistic Science"
XXX (2000)1 13-45; tutto il numero XXX della cit. rivista dell'Università dell'Illinois,
inoltre, è da tenere presente, in quanto è un numero speciale dedicato a Literacy and
Writing Systems in Asia, edited by Chin W. Kim, che ospita anche i contributi di
un convegno per il sesto centenario del re, A tribute to King Sejong.
Ho riportato gli estremi cronologici e storici con un minimo di dettaglio perché l'introduzione
della hankul segna indubbiamente un evento nella storia della scrittura e della linguistica
che merita di essere accompagnato con tutti gli squilli di tromba del caso: non solo,
infatti, si tratta di una scrittura assolutamente unica al mondo nella sua concezione,
ma anche di una scrittura che riflette una maturità di pensiero linguistico che non si ritrova neanche
nei pur meritatamente celebrati grammatici indiani, e che anticipa sostanzialmente
la teoria fonologica moderna introdotta da Trubeckoj cinque secoli dopo.
Per studiare questo sistema, caliamoci direttamente in medias res
e proviamo a guardare alcuni esempi, analizzati, di alcune parole in scrittura koreana,
presentati nella tavola seguente.
Si noterà subito come in ogni blocco grafico (corrispondente ad una sillaba) siano
arrangiati in ordine di pronuncia (reso in senso orario da sinistra a destra e
dall'alto in basso) e senza alterazioni grafiche (furoché il dimensionamento) i
singoli fonemi costituenti la sillaba. L'altra osservazione (cfr. lo schema posto
nella parte destra della tavola) è che la struttura sillabica è rigorosamente CV(C)
ed in tutti i casi in cui sembrerebbe aversi VC la vocale iniziale è sempre preceduta
da un segno convenzionale (che nella tavola è glossato con lo zero): per ora
limitiamoci a coglierne la funzione grafematica, ma sulla sua portata fonologica
torneremo tra poco.
[tav. 14]
Esempi di analisi sillabica di alcune parole in scrittura koreana: Sinla 'un
antico regno koreano', Hankwuk 'Korea', Hankul 'il sillabario coreano',
Sewul 'Seul'. I sistemi (sono detti "romanizzazioni") per ricodificare in latinica la hankul koreana, come
iniziamo a vedere da questa tavola, sono diversi e non del tutto ottimali, in quanto
sono basilarmente delle traslitterazioni, "sporcate" tuttavia di caratteristiche da
trascrizione. Come norma, nel testo di questi appunti useremo il sistema di Yale
(il più diffuso in Occidente, ed anche il più semplice da riversare in HTML senza
Unicode), che nella tavola è dato in blu scuro; l'altro sistema usato in Occidente
è il McCune-Reischauer (dato nella tavola in azzurrino, corpo minore). In Korea
del Nord e del Sud sono "ufficiali" due sistemi diversi, quello del Nord basato
sul McCune-Reischauer e quello del Sud sul Yale.
Una volta viste le linee generali della formazione dei sillabemi, per impratichirsene un poco di più, potreste provare direttamente a combinare i grafemi nei sillabogrammi con il piccolo esercizio online proposto in questa pagina del sito sulla Corea vista da un italiano (ricco, tra l'altro, di informazioni di ogni tipo sulla Korea ed il koreano), oppure cercare, ancora, di scomporre un altro po' di parole che trovate analizzate nella tavola seguente, dove oltre alla quasi-traslitterazione trovate anche la trscrizione IPA:
[tav. 15]
Altri esempi di parole in koreano, con varie trascrizioni. Riprodotto da Ho-Min Sohn,
The Korean Language, Cambridge - New York - Melbourne, 199, p. 4. Oltre alle
romanizzazioni Yale e McCune-Reichemberg è data anche la trascrizione fonetica in IPA.
A questo punto possiamo guardare nel suo complesso tutto "l'alfabeto" koreano, ossia il repertorio di grafemi componibili nei sillabemi della lingua koreana:
[tav. 16]
L' "alfabeto" koreano nell'ordine più solitamente usato nei dizionari della Korea
del Sud; i segni vocalici sono stati scritti in forma citazionale con il grafo dell'iniziale
consonantica zero. Adattato da Ross King, Korean Writing, in The World's Writing Systems, edited by Peter T.
Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 224.
(nel Nord si hanno invece di solito le vocali al fondo e la serie delle consonanti
è "n t l m p s ng c ch kh th ph h kk tt pp ss cc", cfr. Samuel E. Martin, A
Reference Grammar of Korean. A complete Guide to the Grammar and History of the Korean
Language, Rutland (Vermont) - Tokyo (Japan), Charles E. Tuttle Company, 1992,
p. 21-22)
Ma ora che abbiamo familiarizzato un attimo con il materiale da costruzione della fabbrica, vediamo di cogliere le caratteristiche arichitettoniche dell'edificio e la sua originalità. Come vedrete, l'operazione equivale in pratica a presentare una analisi fonologica del koreano attuata con tutti i crismi scientifici che abbiamo esaminato con i "percorsi" suggeriti nel paragrafo su Trubeckoj, cui vi consiglio di richiamarvi. Il sistema fonologico consonantico del koreano è uno con cinque ordini (punti di articolazione: labiale, dentale, palatoalveolare, velare e glottale) ed occlusive in fasci trimembri con correlazione di tensione ed aspirazione. Seycong raggruppava i propri grafemi-fonemi in classi che possiamo constatare essere proprio quelle fonologiche:
[tav. 17]
Struttura fonologica della scrittura koreana: i raggruppamenti sono quelle originali
di Seycong 1444, le categorie sono quelle moderne di Sampson: nei fasci di occlusive
la /b/ rappresenta la lene, /ph/ la tesa aspirata e /p*/ la tesa non aspirata; si
faccia per ora astrazione dal grafema che Sampson raffigura con /q/, su cui sosteremo
in seguito. Riprodotto da Geoffrey
Sampson, Writing Systems, Stanford (California), Stanford University Press,
1998 [1985], p. 124
Le discrepanze tra le categorie di Seycong ed il sistema fonologico che normalmente rappresenteremmo sono molto modeste, e, qualora riportassimo il sistema grafico a quello fonologico del koreano medio, per il quale era stato pensato, anziché a quello moderno, svanirebbero pressoché completamente:
[tav. 18]
Struttura fonologica della scrittura koreana nella sua fase media (originaria della
scrittura) riarraggianta fonologicamente. In koreano medio le alveopalatali erano
tutte affricate dentali solcate, c'erano alcuni grafemi in più per suoni presenti
solo nei prestiti dal cinese, v'erano ancora due toni (conservati oggi solo in
alcuni dialetti, ma persi nello standard), e v'era una occlusiva glottale. Basato su Ki-Moon Lee, Geschichte der
koreanischen Sprache [Kayceng kwukesa-kaysel]. Deutsche Übersetzung herausgegeben
von Bruno Lewin, Wiesbaden, Dr. Ludwig Reichert Verlag, 1977.
In altre parole il buon re Seycong era riuscito a fare una analisi fonologica molto accurata della propria lingua. Ed il grado sorprendente di modernità si può vedere anche dalla "stranezza" del fonema che Sampson rappresenta /q/, e che in hankul è il cerchio col punto sopra (dal tratteggio antico al moderno il punto è diventato una piccola lineetta). Uno dei principi più astratti, e su cui vi è stata maggiore resistenza, della fonologia di Trubeckoy è quello della distribuzione complementare, per il quale due foni che non ricorrono mai nelle stesse posizioni (sono in distribuzione complementare) sono allofoni di uno stesso fonema (cfr. per un migliore approfondimento il terzo percorso di studio sulla fonologia suggerito nel paragrafo su Trubeckoj). Un caso di ciò, con forti analogie a quello del koreano in discussione, e che fu molto discusso nella linguistica occidentale, fu quello rilevato da Trubeckoj per il tedesco e da Bloomfield per l'inglese: la spirante glottale [h] e la nasale velare [ng] sono in distribuzione complementare, la prima solo ad inizio sillaba e la seconda solo a fine sillaba; non avendo pertanto alcuna funzione distintiva andrebbero considerate allofoni di un unico fonema (quale, però, allora?). L'unica ragione per cui nella maggior parte delle analisi dell'inglese si continuano a trovare /h/ e /ng/ distinte è la conclamata controintuitività e scarsa praticità della soluzione monofonematica; dato però che questa ragione non ha alcun senso in fonologia, lo stratagemma di solito dichiarato per il "salvataggio" è che "h" e "ng" assolvono una funzione delimitativa, ossia servono a marcare l'inizio e la fine di sillaba. Se ben guardate, la situazione "delimitativa" del /q/ koreano è simile: serve a marcare l'inizio e la fine di sillaba, in fine di sillaba emerge nella fonologia superficiale come [ng] mentre all'inizio si ferma come zero lasciando scoperta la vocale seguente (in inglese, invece, raggiunge un grado di percettibilità di poco superiore, emergendo come [h]). Solo che Seycong, nel 1444, a differenza della linguistica occidentale degli anni Cinquanta del Novecento, non ha avuto alcuna difficoltà a riconoscere il fenomeno, tant' è che ha assegnato ai due "allofoni" (zero su vocale iniziale, e [ng] finale) lo stesso grafema. C'è davvero di che fare tanto di cappello!
Fin qui, comunque, per quanto geniale, il sistema di Seycong sarebbe "solo" una scrittura logografica fonologica. Ed i "tratti distintivi" in base ai quali l'avevamo etichettata dove sono? Sono nel fatto che ogni grafema-fonema costituente la sillaba è composto graficamente secondo i suoi tratti distintivi fonologici: ogni posizione articolatoria ha un corrispettivo iconico in un tratto grafico, e così anche ogni modo di articolazione. Nella tavola seguente raffiguro l'idea grafica soggiacente alla rappresentazione dei 5 punti di articolazione:
[tav. 19]
L'analisi fonetica dei tratti distintivi sottostante la rappresentazione delle consonanti:
i punti di articolazione. Da Ross King, Korean Writing, in The World's Writing Systems, edited by Peter T.
Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 220.
La composizione dei grafo-tratti (se così possiamo chiamare i tratti
distintivi di un grafema) nei grafemi segue la strategia seguente.
(1) Il grafo del punto di articolazione nudo rappresenta
di solito la continua (fricativa od approssimante) della serie, ossia /m,n,s,Ø/.
Il fono-grafema /q/ è considerato come glottale, in base alla non udibilità del
suo allofono iniziale: Seycong ha scelto la soluzione più astratta!
(2) L'aggiunta di un taglio superiore
orizzontale al grafo-tratto di base rappresenta la sua realizzazione occlusiva, nella
forma lassa, considerata come quello che in fonologia si direbbe il membro non marcato
dell'opposizione. L' "occlusiva" della /q/ è, naturalmente, lo stop glottale.
(3) La aspirazione è invece rappresentata con
una barra separata sopra il grafo, a suggerire la frizione dell'aria nel canale acustico;
l'aspirata della serie glottale /q,?/ è la spirante /h/.
(4) La semplice tensione è resa simbolicamente dal
raddoppiamento del grafo. (5) L'ordine velare, non avendo
alcuna continua (la [ng] è analizzata come allofono del fonema glottale /q/)
è l'unico in cui il grafo-base vada assegnato alla occlusiva lassa,
che è il membro meno marcato dell'ordine.
Con queste notazioni si dovrebbe potere apprezzare al meglio il sistema fonologico dato
prima in Tav. 19.
Il discorso che abbiamo fatto approfonditamente sulle consonanti si può ripetere
anche per il vocalismo: qui le "etichette" usate (essenzialmente lo Ying e lo Yang)
sono più astratte ancora e distanti dalle nostre, ma le classi individuate sono
pienamente funzionali e coerenti: dato tuttavia che il sistema di vocali e dittonghi
del koreano è molto ricco, e dato che il pasto è già stato abbondante col solo
consonantismo, mi limiterò all'accenno.
Abbiamo visto, dunque, rappresentati sofisticatamente tratti distintivi e fonemi, ma abbiamo un poco sfumato sull'unità fonografica segmentale immediatamente superiore, la sillaba, che abbiamo presentato solo dal punto di vista grafico (ordine dei fono-grafemi). Da questo punto di vista si è registrato una inversione di tendenza tra la pratica del koreano medio di Seycong e lo standard moderno: la sillaba da individuata foneticamente è diventata individuata prevalentemente morfofonologicamente. Si guardino i due esempi presentati nella tavola seguente: negli esempi antichi il confine di morfema non rispecchia quello di sillaba, mentre in quelli moderni, a costo di rappresentare una /tesa/ "quadrupla" anziché doppia, sì. Questa "nuova" impostazione appanna il rigore fonologico della scrittura creata da Seycong e segna una discreta frattura nella tradizione grafica koreana, ma non riesce certo a sminuirne l'importanza.
[tav. 20]
Il passaggio da sillabogrammi fonetici a sillabogrammi morfofonologici. Adattato da
Ross King, Korean Writing, in The World's Writing Systems, edited by Peter T.
Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 223.
A conclusione di questo capitolo riporto una tavola completa delle principali romanizzazioni della hankul, nella idea che possano costituire una utile palestra di esercitazione sul problema delle trascrizioni e traslitterazioni (e che magari facilitino la eventuale incoraggiatissima lettura di libri su Korea e koreano ...):
[tav. 21]
I diversi sistemi di romanizzazione del koreano. Riprodotto semplificato da Samuel E. Martin -
Yang Ha Lee - Sung-Un Chan, A Korean - English Dictionary, New Haven - London,
Yale University Press, 1967. Sono stati, in effetti, usati molti sistemi,
con caratteristiche anche strutturalmente diverse; due, tuttavia, sono quelli
che maggiormente si sono imposti: il Yale, oggi prevalente in Occidente, pur meno
perspicuo foneticamente, è il più simile ad una traslitterazione vera e propria;
il McCune-Reischauer ha invece caratteristiche che lo avvicinano ad una trascrizione;
le "romanizzazioni ufficiali" nelle due Koree (lo standard del 1959 del
ministero dell'Educazione della Repubblica della Korea del Sud, e quello del 1957 della
Accademia delle Scienze della Korea del Nord, Cosen kwahak-wen) si appoggiano
rispettivamente quella N (indicato nella tavola con la sigla CK) al McCune-Rischauer,
e quella S allo Yale. Sono trascurati nella tavola minori dettagli, tra i quali il più
rilevante è che nel sistema Yale la wu è trascritta u dopo labiale
(dove non può occorrere la u normale). Un possibile esercizio: provate a vedere (a) quali sono gli aspetti
da trascrizione vs. quelli da traslitterazione (b) in che zone le romanizzazioni
ufficiali si discostano dalle scientifiche?.
La scrittura "lineare B" del miceneo offre un buon esempio di una
scrittura sillabica propria, in cui - ossia - ogni sillabogramma sia una entità
inanalizzabile ed a sè stante, come si può vedere anche solo dall'inventario:
[tav. 22]
L'inventario dei sillabemi della lineare B usata per il miceneo. Riprodotto da
John Chadwick, The Decipherment of Linear B, Cambridge, Cambridge University Press,
1967/2 (1958/1), che è il racconto "standard", leggibile anche da non specialisti
della decifrazione e soprattutto da non grecisti (Ventris non lo era!); è anche tradotto
in italiano per i tipi dell'Einaudi.
Accanto a questi sillabogrammi la lineare B presenta anche un certo numero di evidenti pittogrammi, usati sparsamente accanto ai sillabogrammi, come si può vedere dal seguente breve testo:
[tav. 23]
Una frase tratta da una iscrizione micenea in lineare B di Pilo (PY Eb 297), con
trascrizione, traslitterazione ed annotazione semantica. Adattato da Emmett L. Bennett,
Aegean Scripts, in The World's Writing Systems, edited by Peter T.
Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 262.
La traduzione di Bennett cit. suona « The priestess has and swears she has a special-land-grant for the god, but the
landholders [say] that she has 3.95 measures in land-grants of communal lands»; quella,
di trent'anni precedente di Chadwick suonava: «The priestess holds (this) and claims
that the deity holds the freeholds (?), but the plot-owners (claim) that she holds
(only) the leases of communal plots: 474 litres of wheat» (Chadwick cit., p. 159). Si
notino, oltre naturalmente alla diversa funzionalità di trascrizione e traslitterazione,
le grafie arcaiche con la labiovelare (cfr. lat que) della congiunzione
che già in greco classico è te, lo scarno uso anche di logogrammi, e la presenza
di una separazione delle parole.
Questi logogrammi, ed altri pochi fatti, costituirono un poco l'aiuto
semantico che nella decifrazione dell'ugaritico (che avevamo usato come esempio
paradigmatico di decifrazione), funsero le "asce parlanti". Infatti la situazione linguistico-epigrafica
della Creta minoica era ed in parte è ancora molto misteriosa prima che
nel 1950 Michael Ventris (un architetto e non un grecista) riuscisse a forzare
la crittografia della lineare B, restituendoci sorprendentemente un dialetto greco
più antico di tutti quelli d'epoca classica (nessuno dei quali, comunque, è la
diretta continuazione del Miceneo) e restituendoci (sensazione poco scientifica, forse,
ma che nessuno si può sottrarre dall'avere) inoltre la vera favella del mondo degli
eroi omerici: se Schliemann ci aveva dato i loro resti archeologici, la tavolette di
Pilo e Micene ce ne dànno la lingua.
A Creta, infatti, per tacere di minori lingue (come l'eteocretese) o scritture (come
quella del "disco di Festo") indecifrate, «dapprima (2000-1600 a.C.) si ha una
scrittura ideografica su pietre in forma di sigilli, in uno stadio più primitivo
ed uno più evoluto con circa 140 segni ["geroglifico cretese"]. A questa seguono
due sistemi di scrittura lineare, su tavolette d'argilla e su sigilli, che vengono
distinti con le designazione di scrittura lineare A e scrittura lineare B (la A si
svolge dal 1600 al 1450 circa, la B dal 1450 al 1200 a.C.). [...] Ambedue le scritture
lineari vengono adoperate per inventari su tavolette di argilla. La A, con 85 segni,
è diffusa su tutta l'isola, mentre la B, con 88 segni, nell'isola è rinvenuta soltanto
a Cnosso, ma si trova anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene» (Johannes
Friedrich, La decifrazione delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1973,
p. 143-5). La lineare B, poi, scompare da Creta e dalla Grecia tutta con l'introduzione della
scrittura alfabetica, con l'eccezione di Cipro, dove una variante locale, il cosiddetto
sillabario cipriota è stato usato per notare l'eteocipriota (od
amathuso), una lingua non greca e non decifrata (nonostante l'esistenza di ben
tre bilingui eteocipriota-greco), ed il locale dialetto greco cipriota fino in epoca classica.
[tav. 24]
Una iscrizione fittile in eteocipriota, abbastanza tipica come lunghezza, dipinta
su un'anfora cipriota nota come "vaso con tori, conservata frammentariamente al
Museo Archeologico di Limassol (AM 1554) e riprodotta (pp. 114-5) in Thierry Petit, Eteocypriot
Myth and Amathusian Reality, in "Journal of Mediterranean Archaeology" XII (1999)1
108-120, da cui ho attinto.
Molte "inadeguatezze" della scrittura lineare B al compito di notare il greco (manca ad
esempio una rappresentazione della elle, che viene sostituita regolarmente dalla erre)
si possono, tra l'altro, proprio spiegate con l'essere questa un adattamento di
una scrittura precedente (la lineare A) creata per una lingua affatto diversa.
Né la lineare A (nonostante recenti proposte, anche inressanti, di Mario Negri) né il geroglifico cretese si possono
per ora considerare decifrati: l'unica cosa che pare assai probabile (in base a
considerazioni strutturali-crittografiche e storico-archeologiche) è che non fossero
usate per scrivere lingue di tipo indoeuropeo.
Il tipo che chiamiamo alfasillabario (seguendo William Bright)
è una scrittura che «writes each consonant-vowel sequence as a unit, called an aksara,
in wich a vowel simbol functions as an obbligatory diacritic to the consonant»
(William Bright, The Devanagari Script, in The World's Writing Systems,
edited by Peter T. Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University
Press, 1996, p. 384); il termine corrisponde a quello di abugida (coniato con
le prime quattro sillabe del sillabario etiopico, sullo stesso modello con cui "alfabeto"
è coniato con le due prime lettere dell'alfabeto greco), preferito ad esempio da Peter
Daniels.
L'esempio più importante per storia e diffusione di questo "tipo" è il sillabario
noto come brâhmî creato intorno alla metà III secolo d.C. in India, probabilmente
per diretta responsabilità dell'imperatore As'oka, il più importante regnante dell'impero
Maurya (325 – 185 a. C.) che riunì quasì tutta l'India sotto il suo controllo e che si
atteggiò a modello di sovrano buddhista. Fu introdotta come scrittura ufficiale per scrivere
le lingue medio-indoarie (i cosiddetti prakriti) di allora e fu il veicolo principale di diffusione della
letteratura buddhista; da questa prima scrittura derivano tanto la devanagari
(sviluppatasi a partire dal XII secolo per trascrivere il ben più antico sanscrito
dei testi sacri e della letteratura classica di epoca antico-indoaria) e le moderne
scritture delle lingue indoarie dell'India settentrionale, quanto le scritture del Sud
dell'India e di buona parte del Sudest Asiatico.
[tav. 25]
«A fragment of an inscription in the Asokan Brahmi script. The inscription records
Asoka's Sixth Edict. This particular fragment is thought to have originally come
from Meerut, and is dated to 238 BC. The original is in the British museum» (Fotografia
adattata da Wikimedia Commons: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Asokan_brahmi_pillar_edict.jpg).
Per renderci conto dell'aspetto e del funzionamento di questa scrittura
fornisco, a mo' di esempio, un piccolo frammento del sistema nella brahmi e nella successiva
devanagari (lett. 'scrittura sacra', o più semplicemente "nagari"), che è poi quella
con cui si scrive lo hindi moderno.
[tav. 26ab]
Un frammento del sistema della brahmi (a) e della nagari
(b). Si noti il rapporto
etimologico tra alcuni grafemi dei due sistemi (la principale diversità è lo sviluppo
della barra superiore, a partire da semplici grazie, passate da elementi esornativi
ad elementi costitutivi), e la permanenza della stessa struttura.
Caratteristica della struttura del sistema è che le vocali non hanno
lo stesso status delle consonanti (sono solo dei diacritici ad esse; tipicamente il
grafema consonantico senza diacritici sottointende /a/ inerente, il cui diacritico
è pertanto zero) e che l'ordine grafico dei segni non rispecchia quello della pronuncia
(la vocale può anche stare graficamente
prima della consonante, ma la sillaba fonologica resta CV)
L'origine del sistema (ossia in base a quali precedenti sia stato creato) è stata variamente discussa, ma pare indubbio che la principale ispirazione sia stata, ancora una volta, il consonantario semitico (che, ricordiamoci, è interpretabile come un alfasillabario con vocale inerente neutralizzata). Spazio di discussione, però, che non vi è mai stato per l'altra scrittura dell'India antica, la karoshti (propriamente la s e la h hanno il punto sottoscritto di cerebralizzazione e la i ha il macron di lunghezza), di poco più antica (IV secolo a.C.) ma meno longeva (uscì dall'uso intorno al IV~V secolo d.C.), che è basata sul medesimo sistema alfasillabico della brahmi, ed il cui legame col consonantario semitico è assolutamente palese. Sviluppata, infatti, in area indiana nordoccidentale per i prakriti locali (conosciuti di solito come gandhari, con tutte le vocali lunghe) è evidentemente, lettera per lettera, derivata dai caratteri aramaici; l'aramaico, d'altra parte, nella sua variante cosiddetta "imperiale", era ben diffuso nell'India Nordoccidentale, che era, di fatto, parte dell'impero Achemenide medesimo.
[tav. 27]
Iscrizione votiva dipinta su un vaso proveniente da Hadda (con d cerebrali) e
conservato (forse...) al museo di Kabul. Da Gérard Fussman, Une inscription kharosthï à Hadda, in "Bulletin de l'École
française d'Extrême-Orient" LVI (1969) 5-10.
Dalla brahmi dipendono tutti i sistemi fonografici di scrittura
in uso nell'Asia meridionale. La filogenesi della prima fase del sistema, con la divisione in una
tipizzazione settentrionale ed una meridionale, e con la discendenza delle principali
varianti usate oggi in India (lingue indoarie e dravidiche), è rappresentata nella
tavola seguente:
[tav. 28]
La brahmi dalle origini alle derivazioni in uso nell'India moderna, esemplificata
con l'aksara "n,a". Si noti la netta biforcazione tra alfabeti del Sud (più arrotondati,
forse per via delle caratteristiche del principale materiale scrittorio usato, le
foglie di palma) e del Nord.
Adattato da Richard G. Salomon, Brahmi and Kharoshthi, in The World's Writing Systems,
edited by Peter T. Daniels and William Bright, New York - Oxford, Oxford University
Press, 1996, p. 380.
Molto importante è anche lo sviluppo che sistemi brahmi-derivati,
a partire da un prototipo meridionale di epoca Pallava, hanno avuto in tutte in molte lingue
del Sudest asiatico, dalle tibetobirmane
alle daiche,
austrasiatiche ed
austronesiane, di cui avremo occasione di parlare
nella prossima sezione. Uno schema approssimativo è il seguente:
[tav. 29]
La brahmi dalla tipizzazione meridionale di epoca Pallava a quelle delle principali
lingue del Sudest asiatico, esemplificata con l'aksara "ta".
Adattato da Christopher Court, The Spread of Brahmi Script into Southeast Asia,
in The World's Writing Systems, edited by Peter T. Daniels and William Bright,
New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 448.
Il consonantario semitico, generalmente noto come fenicio perché diffuso
dai mercanti fenici (o punici) a partire da 1050 a.C. in tutto il bacino
mediterraneo, nelle sue forme più antiche è noto come proto-canaanaico, e pare
sia stato elaborato in Egitto intorno al 1800 a.C., nel Medio Regno egiziano, a partire da letture fonetiche
del segnario prevalentemente logografico egiziano.
La tesi "acrofonica" (l'acrofonia è il principio in base al quale ad un segno logografico viene attrribuito il valore fonografico del suono iniziale della parola rappresentata dal logogramma; è il principio, ad esempio, usato negli abecedari per l'infanzia) è sempre stata assai discussa; tradizionalmente (la teoria risale ad Alan H. Gardiner, il grande studioso di antico egiziano) si cercava un nesso con le iscrizione cosiddette proto-sinaitiche, lasciate da popolazioni di origine canaanaica nel Sinai a partire dal 1850 a.C; più recentemente sono state invocate due iscrizioni trovate nel deserto Egiziano, tra Abido e Tebe, da John Coleman Darnell (cfr. John Coleman Darnell, F. W. Dobbs-Allsopp, Marilyn J. Lundberg, P. Kyle McCarter, Bruce Zuckerman and Colleen Manassa, Two Early Alphabetic Inscriptions from the Wadi el-H.ôl: New Evidence for the Origin of the Alphabet from the Western Desert of Egypt, in «The Annual of the American Schools of Oriental Research» LIX (2005) 63-124) a Wadi el-H.ôl, località, peraltro, dal nome che è un programma (anche se con la h normale vale 'valle stretta' con la h enfatica, come è normalmente pronunciata, vale 'la valle della paura'!) e databili intorno al 1800 a.C. redatte con una curiosa forma di proto-consonantario. Le iscrizioni scoperte da Darnell (che pure contengono solo 16 segni dei 24 della scripta proto-cananaica completa) hanno fugato ogni dubbio sulla corretezza della ipotesi, anche se puntano ad una scoperta "poligenetica" da parte dagli operai semitici immigrati in Egitto, ed ad una prevalenza dei modelli grafici ieratici (cioè corsivi ed usuali) rispetto a quelli geroglifici (cioè posati e letterari). Altre iscrizioni sono frattanto state pubblicate, soprattutto quelle trovate nelle miniere di rame di Timna (Wadi Arabah / Arava, Israele), sempre connesse all'attività mineraria egiziana: non tutti i dettagli sono chiari, ed il quadro si configura molto complesso (tanto che non è possibile qui darne adeguatamente conto; cfr. comunque Brian E. Coless, Proto-alphabetic inscriptions from the Wadi Arabah, in «Antiguo Oriente: Cuadernos del Centro de Estudios de Historia del Antiguo Oriente» VIII (2010) 75-96, con bibliografia e tavole), ma l'interpretazione generale pare indubitabile.
[tav. 30abcd]
Le iscrizioni paleoafabetiche di Wadi el-H.ôl, adattato da John Coleman Darnell, F. W. Dobbs-Allsopp, Marilyn J. Lundberg, P. Kyle
McCarter, Bruce Zuckerman and Colleen Manassa, Two Early Alphabetic Inscriptions from
the Wadi el-H.ôl: New Evidence for the Origin of the Alphabet from the Western Desert of Egypt,
in «The Annual of the American Schools of Oriental Research» LIX (2005), risp. p. 75
fig. 2 (b), p. 117 plate III (b) e p. 116 plate II (b); e da John Coleman Darnell,
Wadi el-Hol, voce in UCLA Encyclopedia of Egyptology, pubblicato il
05-26-2013, p. 3 Fig. 3 (a); scaricabile da
https://escholarship.org/uc/item/1sd2j49d.
Il sito è ricco di iscrizioni rupestri del Medio Regno in ieratico epigrafico, cioè in una
varietà usuale e semplificata rispetto alla geroglifica monumentale, cui siamo abituati.
Accanto a queste sono le due iscrizioni paleoalfabetiche (peraltro di decifrazione impossibile),
una orizzontale (che ho riprodotto) ed una verticale. Molti segni egiziani vi sono chiaramente riconoscibili.
Tradizionalmente si considera comunque che la più antica iscrizione già pienamente
proto-canaanaica nota sia del secondo millennio a.C., e consista nelle due righe incise
su un lato corto ed uno lungo del sarcofago di Ahiram,
re di Biblo (re peraltro non noto da altre fonti), conservato al National Museum di
Beirut e trovato nel 1923 nella Tomba V della necropoli di Biblo: cfr. Charles C. Torrey,
The Ahiram Inscription of Byblos, in "Journal of the American Oriental Society" XLV
(1925) 269–279; convincentemente contestata negli anni '80 da Wolfgang Röllig (cfr. almeno
Wolfgang Röllig, Die Ahirom-Inschrift. Bemerkungen eines Epigraphikers zu einem kontroversen
Thema, in Praestant interna : Festschrift für Ulrich Hausmann, her. von
Ulrich Hausmann et alii, Tübingen, E. Wasmuth, 1982, pp. 367-373), anche recentemente,
tuttavia, tale arcaicità è stata parzialmente messa in dubbio
(cfr. Reinhard G. Lehmann, Calligraphy and Craftsmanship in the Ahirom inscription.
Considerations on skilled linear flat writing in early first millennium Byblos,
in «MAARAV» XV(2008)2, pp. 119–164); e questo ben si accorderebbe con l' "invenzione"
acrofonica del sistema a partire dal geroglifico egizio tratteggiata nel paragrafo precedente.
[tav. 31ab]
La più antica iscrizione proto-canaanaica nota (b), quella del sarcofago di Ahiram, re di Biblo.
Il sarcofago (a) è riprodotto da una fotografia classica (G. Eric and Edith Matson
Photograph Collection, Prints and Photographs Division, Library of Congress ) che traggo
da: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Ahiram_sarcophag_from_Biblos_XIII-XBC.jpg.
L'iscrizione (b), invece, è riprodotta dalla sua prima edizione, quella di René Dussaud,
Les inscriptions phéniciennes du tombeau d'Ahiram, roi de Byblos, in "Syria"
V (1924) 135-157. Sotto al facsimile riporto anche la trascrizione nel segnario ebraico
standard (secondo l'uso dei semitisti) e la traduzione che ne dava il Dussaud (del
quale è oggi generalmente accolta anche la proposta di ricostruzione, non posta
a testo, in Itoba'al del nome del costruttore del sarcofago, il figlio di Ahiran).
Cfr. anche più recentemente Reinhard G. Lehmann, Die Inschrift(en) des Ahirom-Sarkophags
und die Schachtinschrift des Grabes V in Jbeil (Byblos), Mainz 2005 "Forschungen
zur phönizisch-punischen und zyprischen Plastik" II.1.
Opportunamente ricorda la Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Ahiram) che «the sarcophagus of Ahiram was discovered
by the French archaeologist Pierre Montet in 1923 in Jbeil, the historic Byblos.
Its low relief carved panels make it "the major artistic document for the Early Iron Age"
in Phoenicia. Associated items dating to the Late Bronze Age either support an early
dating, in the 13th century BC or attest the reuse of an early shaft tomb in the
11th century BC The major scene represents a king seated on a throne carved with
winged sphinxes. A priestess offers him a lotus flower. On the lid two male figures
confront one another with addorsed seated lions between them, read by Glenn Markoe
as a reference to the father and son of the inscription. Egyptian influence that
is a character of Late Bronze Age art in northwest Canaan is replaced here by
Assyrian influences in the rendering of figures and the design of the throne and a table».
Da un puro punto di vista meramente tipologico tale sistema è
peraltro facilmente interpretabile come un alfasillabario con vocale inerente variabile, e tale è probabilmente
stato considerato dai "costruttori" della brahmi
e della karoshti. Questa interpretazione,
comunque, avveniva alla luce della nozione sillabica viva nella tradizione del
cuneiforme dei grandi imperi mesopotamici ed iranici; per la fase fondante non
è probabilmente vera storicamente, in quanto il "sillabismo" è estraneo alla tradizione
grafica egiziana che sola elabora accanto ai logogrammi la componente consonantica.
Come s'era detto, anche l'alfabeto è stato inventato più di una volta,
sempre però a partire dalla medesima partenza del consonantario semitico (canaanaico, o
fenicio) elaborato nella prima metà del Secondo Millenio a.C e di cui avevamo già
parlato nel § 1.6.1 e soprattutto nel
§ 1.6.9.
[tav. 32]
Adattamento del consonantario fenicio nell'alfabeto greco.
Adattato da Pierre Swiggers, Transmission of the Phoenician Script to the West,
in The World's Writing Systems, edited by Peter T. Daniels and William Bright,
New York - Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 262.
Tra queste "invenzioni" quella che ci tocca più da vicino è naturalmente quella avvenuta in Occidente, il cui merito va attribuito ai Greci. Essi usarono alcune potenzialità del sistema semitico, tra cui, soprattutto, i grafemi per i suoni consonantici con colorazioni vocaliche che vengono usati per le vocali che suggeriscono, così alep [7] e yod [j] vengono usati per /a/ ed /i/, ecc.:
[tav. 33]
Un esempio significativo di scrittura greca del I secolo a.C: il frammento 98D
di Saffo, tramandato da un brandello (cm 7,9 X 5,8) di papiro, oggi a Milano,
presso l'Istituto di papirologia della Università Statale (P.Mil.Vogl. inv. 1243).
Della nota poesia di Saffo estrapolo due versi, di cui interlineo le "lettere" greche standard,
fornendo anche una trascrizione (in rosso) ed una traduzione (turchese). Il frammento
è riprodotto da Charta. Dal papiro al computer, a cura di Giorgio Raimondo Cardona,
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988 (catalogo dell'omonima mostra, Milano, Palazzo
Reale, 3 marzo - 30 aprile 1988), p. 119.
Con questa mossa inventarono l'alfabeto greco, cioè il sistema che
sta alla base di tutte le scritture occidentali, così come la cultura greca sta alla
base di tutta la cultura occidentale. Tra tutte le scritture che più o meno direttamente
ne derivano (cirillica, armena, georgiana, copta, ...), la più importante è indubbiamente
la "latinica", che è ormai diffusa mondialmente (tale derivazione
non è peraltro diretta, derivando atraverso la mediazione etrusca da un alfabeto
greco diverso da quello standard).
Nel mondo romano classico l'alfabeto assume un unico "canone", quello maiuscolo "capitale",
cui siamo abituati nelle forme lapidarie "rustiche" e "quadrate" che sono ancora delle nostre
lettere maiuscole, ma che era usualmente atteggiato in una corsiva maiuscola: questa era
la scrittura della quotidianità in tutto il mondo latino, anche se a noi appare meno consueta
ed è pertanto la forma di cui vi propongo gli esempi delle tavole seguenti. Fattoci,
comunque, l'occhio non è poi così "terribile" come pare a prima vista e si legge abbastanza bene.
[tav. 34abc]
Alcuni esempi di scrittura latina usuale, la cosiddetta maiuscola corsiva.
I primi due, (a) e (b), provengono dalle
mura di Pompei, e quindi sono sicuramente datati all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
I "generi", peraltro, con cui i graffitari dell'epoca riempivano i muri sono assai simili
agli odierni: eros, sport, politica, "poesia" ecc. Da questo panorama ho trascelto
una pubblicità elettorale ((a): CIL IV.4456) ed una massima
erotica ((b): CIL IV.4491).
Il terzo esempio, (c), proviene dal forte di Vindolanda, immediatamente a Sud del Vallo di Adriano
nell'Inghilterra settentrionale, dove è stato trovato un importantissimo gruppo di documenti,
le cosiddette tavolette di Vindolanda, che datano dal tardo primo secolo all'inizio del
secondo, e che testimoniano la vita quotidiana di una comunità al confine (limes)
del mondo romano. Questo per fare notare la notevole uniformità della scrittura nel vasto
territorio romano, dal centro dell'impero (Pompei) alla sua periferia (Vindolanda). Si
tratta questa volta di una lettera privata (la tav. 291), un biglietto di invito (vergato come consueto
su un dittico di legno, di cui riproduco solo la prima facciata) di Claudia Severa
a sua sorella Sulpicia Lepidina per il suo compleanno: nulla di più "normale" ... tantopiù
che la seconda facciata del dittico, prosegue poi con i saluti al cognato Ceriale, cui
si uniscono il marito Elio ed il suo bambino. Come commentano gli editori «it is quite
certain that the author is Severa herself, adding a brief message and the closing
greeting in her own hand as she also does in [tablet] 292 and 293. Almost certainly,
therefore, these are the earliest known examples of writing in Latin by a woman».
Linguisticamente, si notino le differenze con la lingua classica letteraria, soprattutto
in (a), mentre (b) cerca di più adeguarsi
al modulo letterario: supsteneo non è certo classico, dove sarebbe su(b)stineo;
omne modu può stare, a sua volta, con pronuncia "volgare" alla osca, per omni
modo o per omnimodum, con -m finale caduta (come risulterà poi nelle
lingue romanze); il testo di (c), invece, è sostanzialmente corretto
(l'uso dell'acento per marcare le vocali lunghe è abbastanza normale), e si
allontana dal modello letterario soprattutto nella sintassi, molto più libera e vicina al parlato.
I facsimili di (a) e (b) sono tratti
direttamente dal CIL, cfr.: Corpus Inscriptionum Latinarum,
consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae editum, Voluminis quarti
supplementum: Inscriptionum parietarum Pompeianarum supplementum ediderunt
Augustus Mau et Carolus Zingsmeister, pars II: Inscriptiones parietariae et vasorum
fictilium editae ab Augusto Mau, Berolini, apud Georgium Reimer, 1909.
(c), invece è riprodotto dall'edizione online delle Tavolette
curata dal Centre for the Study of Ancient Documents e dall'Academic Computing
Development Team dell'Università di Oxford: http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/.
Non va però dimenticato che anche i turchi uiguri occidentali della
Transoxiana crearono anche loro un "alfabeto", la scrittura "uigurica", che sarà fondamentale
nell'Asia centrale ed orientale, e che darà origine a scritture importanti come quella
del mongolo classico e del mancese imperiale (e sarà storia che tratteremo nel capitolo
della prossima sezione dedicato alle lingue altaiche, vedendone anche alcuni piccoli
esempi). Il punto di partenza,
in questo caso, è stato uno sviluppo più tardo della semitica, la scrittura aramaica usata
nell'impero persiano Achemenide, attraverso una serie di adattamenti medio-iranici,
culminati nella scripta sogdiana. L'edificazione di questo "alfabeto", però, è stata meno
sistematica e più graduale di quella del greco, ed anche il risultato è in qualche modo
più anomalo: vi sono molti nessi poligrafematici obbligatori; la scrittura è legata, ed
ogni grafema ha varianti posizionali obbligatorie (alla stessa maniera della scripta
arabica, che pure si è sviluppata indipendentemente a partire da una base "sorella",
ossia sempre figlia dell'aramaica).